Giorgio Erle
Markus Ophälders

Giorgio ErleMarkus Ophälders

Come passa il tempo … ovvero … il tempo passa?
Tempo e musica tra Beethoven e Stockhausen

Sabato 19 settembre 2015 – ore 11:00

È noto che il tempo ha la tendenza di passare, di passare soprattutto senza il nostro intervento. Anzi sembra che noi ne siamo le vittime e che il tempo, nella nostra esperienza, non sia altro che un contenitore astratto, cronologico, aritmetico e sostanzialmente vuoto, che noi riempiamo di momento in momento con nuovi contenuti.
E se invece il tempo non fosse astratto, non fosse contenitore da riempire o con la noia o con il lavoro coatto? Se potesse, invece, essere organizzato in modo diverso proprio a partire dalle nostre coscienze, dal momento che sono esse ad esserne parte non solo essenziale e integrante, ma costitutiva? Il tempo, infatti, è principalmente coscienza interiore del tempo vissuto; dopo, e soltanto dopo, arrivano l’aritmetica e la cronologia.
E se potessimo trasformare l’eterno ritorno del tempo naturale in linearità storica e progressiva, se potessimo realizzare un istante eterno attraverso le stesse leggi del tempo, se fosse possibile raggiungere un’eternità in ogni momento, una nunc stans mistica grazie proprio alle leggi empiriche dello stesso tempo, se davvero potessimo, come Faust, dire all’attimo; “Fermati, quanto sei bello”? L’arte del tempo – la musica – è l’unica pratica umana a poter dare risposte a questi e simili quesiti.
Da un punto di vista schematico si possono individuare tre differenti concezioni del tempo nella musica: monista – sostanzialmente legata alla musica classica con il suo apice in Beethoven e, filosoficamente, in Hegel – dualista – legata al momento in cui la dimensione del tempo, grazie a Messiaen e Stravinskij, diventa parte dell’organizzazione razionale della musica, cosa che nella dodecafonia di Schönberg non era – e pluralista che – combinando le prime due – riesce a pensare il tempo sia in termini di progressione teleologica sia, in senso ideale, come forma platonicamente integra e perfetta. La concezione monista parte da un’accezione immanente del materiale sonoro: tutto ciò che è teleologicamente possibile fare con un certo materiale di partenza si svolge in un tempo dato attraverso lo sviluppo (Durchführung), cuore della forma sonata. La concezione dualista, invece, presume che vi siano forme musicali, in senso soprattutto temporali, che sono di tipo sostanzialmente platonico o, se si vuole, goetheano, che siano capaci di organizzare anche le dimensioni della melodia o dell’armonia: contemporaneità dei suoni significa armonia, successione invece melodia. Si tratta di un’ulteriore razionalizzazione del processo compositivo che Schönberg non aveva ancora contemplato. La concezione pluralista cerca di unire i due approcci – non senza interessanti ambivalenze – elaborando un processo teleologico attraverso forme archetipe e ideali: un eterno ritorno del sempre nuovo.
Qui la musica potrebbe incontrare la filosofia perché, dal punto di vista filosofico-storico e anche da quello politico, potrebbe essere possibile trarre delle conclusioni sul tempo come microcosmo nella musica e sul tempo storico come macrocosmo politico.

Dialogheremo sulla concezione monista prima e su quella pluralista poi, per giungere, in seguito, a qualche spunto utile anche per una discussione, oltreché musicale, anche storico-politica intorno alle possibilità di costruire sia una coscienza del tempo individuale sia un altro tempo storico con la coscienza collettiva e l’azione politica.